Cherreads

Chapter 2 - : "Il cieco che vedeva più di me."

"C'è chi si bagna per lavarsi. E chi per dimenticare dove è stato bruciato."

——•✧✦ Still Breathing II ✧✦•——

Certe mattine iniziano con fango.

Altre, con merda.

Questa tuttavia stava continuando, con uno sconosciuto immerso nel mio lago — e io con in mano una saponetta dura come l'odio.

All'inizio pensavo fosse un animale. Il primo a non scappare dal freddo.

Poi l'ho visto muoversi.

Nuotare non è il termine giusto.

Si spostava piano, tipo pianta spezzata che galleggia ancora per abitudine.

Lo guardavo da lontano.

La prima cosa che notai furono le cicatrici. Non due o tre.

Centinaia.

Sulla schiena, sulle braccia, persino attorno al collo, come cuciture.Non decorative. Di quelle che ti fanno pensare a qualcosa che si è rotto e poi rimesso insieme a forza.

E lui lì, immerso fino al petto, si sciacquava i capelli.

Li passava tra le dita lentamente, come se potesse staccarli.

Poi si piegava in avanti e li lasciava cadere nell'acqua.

Io intanto ero lì con la mia coperta, cercando di capire se andarmene o lanciargli un "Ehi, sei sicuro che sei vivo?"

Ma no.

Mi avvicinai. Per curiosità. Per stupidità. O solo perché ormai il freddo non mi faceva più effetto.

All'inizio, ai primi bagni d'inverno, svenivo dopo cinque secondi.

Ma si vede che anche il corpo impara a smettere di lamentarsi, se lo ignori abbastanza.

Quando fui abbastanza vicino, parlai.

«Buongiorno.»

Lui si voltò di colpo.

E io… mi bloccai.

Aveva il viso segnato.

Tagli vecchi e nuovi.

Cicatrici che correvano sulle guance come radici nere.

E poi gli occhi.

Bianchi.

Non grigi. Non chiari.

Bianchi.

Come vetro coperto da fumo.

E fu lì che pensai: "Questo... è cieco."

Lo capii dalla maniera in cui si girò: con la testa prima degli occhi.

Rimase lì, mezzo fuori dall'acqua, senza parlare.

«Scusa... Non volevo disturbarti.

Non ti avevo visto da lontano. Solo... è raro vedere qualcuno qui, tutto qua.»

Niente risposta.

Solo un suono di gola. Un gorgoglio basso, gutturale, tipo:

"Hrrn."

Una specie di "sì" soffocato.

Giusto per dire: "Non ti sto ignorando, ma sono troppo figo per parlare."

Mi grattai la testa, imbarazzato.

«Io mi chiamo... anzi tutti mi chiamano principe haha, comunque.

Lavoro qui, nella fattoria.

Anche se "lavoro" è una parola grossa.

Tu invece... stai usando il lago... per caso hai chiesto il permesso al padrone?»

Silenzio.

Poi lo stesso verso.

"Hrrm."

Un altro "sì". O "non rompere". Non saprei.

Era... strano.

Si era fermato. Non si stava più lavando.

Stava lì, fermo, a un paio di metri da me, guardandomi senza occhi.

Come se aspettasse qualcosa.

Una domanda?

Un ordine?

Provai a rompere il ghiaccio.

«Sai, in genere se uno arriva qui nudo e pieno di cicatrici, è perché ha avuto una brutta nottata...

O una bellissima... dipende se riesce a tornare a casa.»

Nessuna reazione.

Mi fermai.

Poi, più serio:

«...Sei uno dei soldati di Trenzelord?»

E allora… aprì la bocca.

Era plausibile cazzo.

E io… mi sentii uno stupido.

Non c'era la lingua.

Solo denti storti e rotti. Carie nere.

E un vuoto lì in mezzo che faceva più male di tutto il resto.

Certo.

Adesso aveva senso.

Gli occhi.

I suoni di gola.

Il silenzio.

Mi schiarii la voce, cercando di non sembrare troppo colpito.

«...L'avevo immaginato, sai? Dalla voce... e dagli occhi.»

Mi grattai la nuca.

«Ho sentito storie.

Dal vecchio Alen. Magari lo conosci.

Dice che vi hanno tenuti prigionieri per mesi...

Vi tagliavano, vi cucivano, vi privavano di tutto….»

Nessuna risposta.

Solo un altro suono, più lento.

"Hhn."

Lo interpretai come "continua pure".

Guardai l'acqua. Poi lui.

«Comunque...

Non preoccuparti.

Non ti caccio, né ti faccio domande.

Sei tu il cliente di cui si parla qui, vero?

Ma che dico.. Certo.. Ti lascio in pace.

Lavati.

Riposa.

Qui non ti disturberà nessuno, finché paghi almeno.»

Non rispose.

Si limitò a fare un altro suono, più leggero, forse grato.

Poi si voltò, tornò lentamente in mezzo al lago, e si lasciò andare sotto l'acqua —come una cosa che non ha più paura di sparire.

Io restai lì un altro momento, con il sapone gelato nella mano, a fissare la superficie calma,mentre il sole provava a riflettercisi sopra —senza riuscirci del tutto.

˜"°•.   ♪   .•°"˜

Ci trovammo lì.

Nella casupola di Pog, mezzo nudo e tremante, seduti entrambi vicino a un falò che sembrava più stanco di noi.

Io con la mia coperta marcia addosso, lui — il ragazzo — che stava lì, silenzioso, coi capelli gocciolanti come pioggia mai asciugata.

Il vapore si alzava piano dai suoi vestiti mezzi zuppi, e io cercavo di capire come cazzo ero finito lì con uno sconosciuto cieco, muto, e pieno di cicatrici.

Un normale martedì, direi.

Lui, però, non sembrava nervoso.

Anzi, era immobile.

Come se fosse abituato a sedere nei silenzi degli altri.

Io invece, fradicio, tremante e leggermente pentito di non essermi dato alla vita da eremita nei monti, cercavo di pensare a una via d'uscita elegante.

"Magari dico che mi aspettano i porci. Che ho un'infezione. O che sono allergico al mistero."

Poi lui si mosse.

All'improvviso.

Un suono secco di gola, poi infilò la mano nella tunica.

Ne tirò fuori un piccolo libricino di pelle, e da lì — con calma assurda — strappò un foglio.

Con l'altra mano tirò fuori uno strano aggeggio.

Tipo una penna, ma senza inchiostro.

E cominciò a scrivere.

Lo guardavo. Ipnotizzato.

"Ma come…? Cos'è quella roba? Scrive senza intingere nulla…?"

Una parte di me pensò: "Magia."

Dopotutto, non è che fosse così raro.

Il vecchio Alen ne aveva una pietra ordinaria che parlava.

E Pog, lo scemo col bastone, aveva un anello che diventava rosso, e gli faceva controllare piccole sorgenti di fuoco, utile durante la notte, per acceccare sia nemici.

Ma 'sto tipo… era diverso.

Non era uno che si vantava.

Era solo uno che scriveva.

In silenzio.

Con precisione chirurgica.

"Forse l'ha avuta quando era al fronte…

A Trenzelord…

I soldati ricevono spesso oggetti magici.

Molti ladri, provano la fortuna, andando nei campi di guerra a rubare questi item.."

Finì di scrivere.

Mi porse il foglio, senza fretta.

Io lo presi con due dita, quasi con rispetto.

E appena guardai il testo… rimasi di sasso.

La calligrafia.

Pulita. Tesa. Ordinata.

Come scritta da un insegnante frustrato con molto tempo libero.

Il lessico.

I periodi ben costruiti.

Persino gli accenti messi nel posto giusto.

Altro che scarabocchi militari. Questo scriveva meglio di me.

Mi si strinse qualcosa dentro.

"Se solo quella piccola palla di ladro che mi fa da studente qui alla fattoria fosse anche solo la metà motivato..."

Sentii un nodo alla gola.

Poi quasi un sorriso.

_"Magari ho finalmente trovato uno con cui parlare di libri, nozioni, economia…"

Mi girai, pronto a iniziare una conversazione nobile e profonda.

Solo che…

Lui non c'era più.

Si era alzato.

Era andato verso la porta.

Aveva preso una spada.

Non una di quelle arrugginite da contadino.

Una spada vera.

Affilata. Segnata. Ma ben tenuta.

E mi guardava.

Fermo. Con quei non-occhi fissi su di me.

Come se stesse aspettando qualcosa.

Io ricambiai lo sguardo, confuso.

Poi capii.

"Ah, merda. Non ho ancora letto il foglio."

Mi schiarii la voce.

«Aspetta! Scusami, dammi solo due minuti. Il testo è... ehm… abbastanza lungo.»

Lui non fece una piega.

Si limitò ad annuire con un accenno del mento, poi uscì.

Sparì nella nebbia del pomeriggio come una frase interrotta.

Mi guardai il foglio.

E cominciai a leggere.

"Buongiorno, egregio signore.

Mi trovo di passaggio in questa fattoria per una questione di approvvigionamenti.

Sto acquistando scorte, utensili e ciò che potrebbe servirmi per un viaggio prolungato.

Considerata la stagione invernale, preferisco muovermi in anticipo."

Mi fermai.

"...Quindi è lui il cliente. Quello di cui parlava Pog."

Ingoiai un sospiro.

"E io che speravo di potergli spillare qualche moneta fingendomi un sapiente profeta,

quello che 'ti svelo le verità del mondo e l'inflazione della moneta imperiale'...

Eh no.

Questo mi avrebbe corretto la grammatica."

Andai avanti.

"Come avrà notato, non ho più il dono della vista, né quello della parola.

Ma nonostante ciò, riesco a muovermi con discreta autonomia."

Un brivido mi attraversò la schiena.

"Già... cieco.

Eppure ha scritto meglio di me.

Ma... come cazzo ha fatto?"

Mi asciugai la fronte.

Il fuoco non scaldava troppo, ma io sudavo.

Continuai.

"Per comunicare con il padrone, ho usato ciò che avevo, e abbiamo trovato un accordo."

"Tuttavia, ho dimenticato di chiedere una locanda dove poter pernottare durante i tre giorni di attesa."

"Non dispongo di molto denaro. Dato il pagamento anticipato.

Quindi, visto che lei mezzo lavora qui (o così ha detto), vorrei chiederle se può accompagnarmi in città per trovare una sistemazione."

"Naturalmente, le offrirò ciò che posso.

E siccome tanto lo avrebbe chiesto prima o poi...

può chiamarmi Ultimo."

Mi fermai.

Il silenzio nella casupola sembrava esploso.

Ultimo.

Quel nome…

"…Ultimo."

Non era un nome qualsiasi.

Mi girai verso la porta.

"Aspetta. Ultimo."

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